Louis Vuitton un inno al consumismo


Il debutto maschile di Pharrell Williams per Louis Vuitton viene celebrato come un grande party con il ritmo musicale del coro gospel Voices of Fire davanti a 1400 invitati sul ponte Pont Neuf. La collezione è molto variegata ma ha come filo conduttore l’esternazione del lusso in modo urlato con il logo anche in dimensioni macro quasi a voler mostrare a tutti, anche da lontano, io posso permettermi Louis Vuitton. Ad evidenziare il marchio come segno riconoscitivo sono le scacchiere LV. Damier introdotte per la prima volta nel 1889. Il tema viene proposto su un camuflage pixelato chiamato da Williams “Damuflage”, sul jeans scolpito laser, sui tessuti ricamati con perline e non, sulla pelle, insomma ovunque. Per accentuare il massimalismo non risparmia l’uso di pellicce in visone intagliate con il disegno del logo o le pelli di coccodrillo con la scritta LV overs. Uno stile street wear da rapper in cui l’eccentricità è data dal catturare l’attenzione come è di tradizione per questo genere musicale. Louis Vuitton aveva già preso questa strada infatti propone tute da jogging, naturalmente ultra logate con la possibilità di personalizzazione con il nome del cliente. Il suo prodotto è inno al consumismo per i più ricchi del pianeta che si sentono appagati dal mostrare a tutti le proprie ricchezze in modo pacchiano con un fast fashion in cui l’entusiasmo di un acquisto dura solo il tempo di mostrarsi. Non voglio peccare di presunzione, ma questa collezione non la sento contemporanea. Per come la penso io, facendo un paragone al lusso automobilistico, il lusso non è una Bentley ricoperta d’oro e brillanti, il lusso è una Maybach.

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