Negli ultimi anni la nozione di lusso ha attraversato un processo di erosione semantica, talmente intenso da disperderne il significato originario in una moltitudine di interpretazioni spesso superficiali e contraddittorie. Ciò che un tempo evocava un ideale di esclusività, savoir-faire e ricerca estetica, è stato progressivamente ridotto a slogan mediatici e a un esercizio di ostentazione privo di sostanza. Tuttavia, il lusso autentico riafferma il proprio valore quando creatività e qualità riescono a fondersi in un equilibrio armonioso: solo allora si genera un prodotto capace di oltrepassare la dimensione commerciale per approdare in quella culturale e simbolica.
Le ultime passerelle parigine hanno offerto un saggio eloquente di questa riflessione. Da Dior a Saint Laurent, da Tom Ford a Givenchy, fino ad Alaïa e Balenciaga, ogni Maison ha saputo rivolgersi a un pubblico diverso, calibrando linguaggi e codici estetici su mercati e sensibilità specifiche. Dior cattura l’attenzione di una clientela giovane, Saint Laurent intercetta le suggestioni del mercato arabo, mentre altri brand parlano a un’élite cosmopolita che cerca non la mera ostentazione, ma la distinzione raffinata. È la capacità di scegliere un capo che rifletta la propria identità profonda a fare la differenza, contrapposta alla sterile esibizione di un logo reso virale dai social.
Direttori creativi come Jonathan Anderson, Anthony Vaccarello, Haider Ackermann, Sarah Burton, Pieter Mulier e Pierpaolo Piccioli hanno dimostrato una rara abilità nell’interpretare l’heritage delle rispettive Maison, traducendolo in linguaggi contemporanei senza tradirne l’essenza. In particolare, Piccioli ha restituito a Balenciaga una dignità di lusso che negli anni recenti era stata sacrificata a favore di un’estetica provocatoria, spesso ridotta a un minimalismo impoverito e privo di contenuto. Il suo approccio, rispettoso della storia e insieme permeato da una creatività eccentrica, ha mostrato come il gesto artigiano e la sapienza tecnica possano ancora costituire il cuore pulsante del lusso.
Oggi, mentre il mercato del lusso attraversa una fase di contrazione, le ragioni di tale fragilità vanno ricercate nell’indottrinamento di valori effimeri: si è preferito coltivare l’illusione di una moda gridata e spettacolare, trascurando il fondamento sostanziale che la rende credibile e desiderabile nel tempo. La lezione che ci viene dalle sfilate parigine è dunque chiara: il lusso, con la “L” maiuscola, non può essere ridotto a mero esercizio di marketing, ma deve incarnarsi in prodotti che siano unici per concezione creativa, eccellenza artigianale e qualità dei materiali. Solo così il lusso riconquista il suo senso autentico, quello di un linguaggio esclusivo capace di parlare non al portafoglio, ma all’immaginario e all’anima di chi lo sceglie.