Viviamo in un periodo storico in cui l’incertezza è diventata l’ombra oscura che avvolge il fashion system. La ritrazione dei mercati molto spesso spinge il brand a fare delle scelte impulsive dettate dalla cronaca dei media o dei social, annebbiando in parte la propria identità. Il concetto “ va di moda” era un’onda che si propagava con il tempo dovuto, oggi questo fenomeno è cambiato è diventata un’onda a cui il brand si lascia trascinare dalla corrente. Il “tutto fa tendenza” è l’ordine del giorno e come nei casi delle “fake news” ogni informazione viene presa in considerazione e giudicata senza spirito di razionalità, ma solo perché succede. Quindi si innesca un meccanismo che trasporta il brand in un labirinto senza il filo di Arianna che lo avrebbe condotto verso un target cliente definito. Ne consegue una produzione basata sul vivere alla giornata in funzione di un prodotto su cui andrebbe scritto la data di scadenza come avviene nei supermercati. In questo contesto consumistico il brutto viene fatto passare per bello perché non ha un limite di creatività, è più veloce a diffondersi attraverso i media e, cosa non da poco per il brand, muore prima, aprendo la strada ad uno ancora più nuovo.
Ritengo quindi che oggi il brand debba fare una scelta: vendo a chi compra per ingordigia o vendo a chi ama vestirsi? Sono due sfaccettature diametralmente opposte, una che decide come e quando essere cool con un’immagine impattante, l’altra che non rinuncia ad un mix di arte, artigianalità, etica, raffinatezza e ricercata genialità.
Come cantava Riccardo Cocciante e Mina: “questione di feeling”.
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