Miuccia Prada ci dice: «sono stanca di parlare di idee, parliamo di vestiti», questo è un po’ il sunto delle collezioni che hanno sfilato a Milano, ossia la moda è un’industria e per tanto tale deve rispecchiare la sua forma capitalistica. L’atmosfera che aleggiava sulle passerelle era la sfiducia nel sogno inteso come viaggio verso un’ignota eccentricità. Come Mida il re di Frigia trasformava in oro ogni cosa che toccasse così i brand trasformano in moneta sonante scarpe e borse eludendosi dall’obbligo di rinnovarsi in una veste inedita. La moda non deve sedurre ma travolgere con passione e la passione nasce solo da una bellezza inedita. È quel sentimento che abbiamo avvertito vedendo l’abito di Prada in cui i volants fluttuando sembrava che l’avvolgessero da una materia evanescente, l’abito nude dressed di Glen Martens, l’abito di Donatella Versace che propone la fantasia a scacchi proposta da Gianni nel 1985 con elementi in pizzo, l’abito a rete con massimalistici pon pon applicati di Bottega Veneta, la trasformazione del minimalismo di Jil Sander che alza i toni gradualmente, il tubino blu oceano composto da tanti rettangoli applicati di Armani, lo spolverino con le frange di perline di Gucci. A parte questi sussulti ovidiani il normcore è stata la legge che ha innestato la marcia della continuità, della paura di intraprendenza, la direzione verso un prodotto che ruota su sé stesso sull’asse del brand. Niente terremoti o tsunami che potessero portare lo spettatore fuori dalla confortzone, niente che stimolasse la donna benestante a fare un acquisto per il semplice fatto che non ha niente di simile nel guardaroba.
Contro tendenza a quello che oggi è diventata la donna è stato Dolce & Gabbana che presentano una collezione di lingerie che potrebbe essere confusa con quella di Victoria’s Secret, una concezione che vede la donna come un sex symbol con il pericolo di poter incontrare un lupo.
Non resta che vedere cosa proporranno i francesi, se avranno avuto più audacia, se non avranno ceduto all’incertezza di questo periodo caratterizzato da una guerra infinita, da una disaglobalizzazione in corso, dalla paura del cambiamento climatico.
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