Guardando la sfilata di Moschino sono rimasto sorpreso e divertito, la sfilata shock che trasmette la voglia di rinascere anche se per Jeremy Scott era imprevedibile una situazione buia come stiamo vivendo.
Il DNA di Moschino è un massimalismo divertissement, ma che in questa esibizione ha trasformato in ironica couture con lo sfondo della scena finale di 2001 Odissea nello spazio, pareti pastello, mobilia Luigi XVI e quadrati luminosi al posto del pavimento.
La collezione è composta da abiti mobilia, delle vere sculture che ci portano su un palcoscenico couture.
I vestiti sono scenografici paraventi chinoiserie, tailleur cassettiera con tanto di maniglie al posto dei bottoni, arazzi drappeggati sul corpo e perfino arpe che diventano estensioni del corpo. Paralumi, candelabri, leggii dorati con spartito, gabbie dorate e piumini per spazzare la povere sono trasformati in cappelli. Orologi e secchielli portaghiaccio in borsette. Mentre i servizi di posate d’oro e d’argento e i rubinetti che prendono la forma di gioielli e bottoni riprendono le spille d’archivio di Moschino, lanciate per la prima volta nel 1989 e 1990 e le scarpe un tripudio di stucchi rococò.
La sfilata rafforza la brand identity se diventa lo show che cattura l’attenzione anche con abiti folli che non vedremo mai indossati, ma che esprimono l’unicità del suo DNA.
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